La Repubblica - 6 Agosto 1995
"Mio caro maestro, lei mi spaccò il cuore"
Ecco la lettera che Monica Guerritore ha inviato tramite "La Repubblica" a Giorgio Strehler
Giorgio. Questo è il nome che mai sono
riuscita a pronunciare.
Quel groviglio di sentimenti che a distanza di ventidue anni riaffiora
dal fondo del mio cuore si snoda ora attraverso queste parole
che danno forma piccola a pensieri mai detti in tutti questi anni.
La timidezza di quella bambina davanti
al grande, bellissimo maestro,
è la stessa di allora e mi ha impedito in tutto questo tempo un
gesto, uno scritto, un abbraccio forte di amore e gratitudine. Prendo
coraggio e le parlo ora pubblicamente, essendo a 37 anni, compagna e amica
di quella bambina, ma anche donna consapevole e matura. Era il 1974, lei
preparava una grande edizione del Giardino dei ciliegi e cercava una piccola
attrice per interpretare il ruolo di Ania, la figlia di Liuba. Si presentarono
a mille e il destino mi portò al "Piccolo". Accompagnavo
una mia amica e lei mi prese per mano e mi disse: tu resti con noi.
Mi sono ritrovata accovacciata per lunghi mesi in una platea buia, seduta
in una poltroncina proprio dietro di lei. Ricordo il grande rigore,
il silenzio assoluto. Il palcoscenico si attraversa in punta
di piedi e io che correvo! MULTA! Non ci si siede sulle
sedie con i vestiti di scena! MULTA! Non si parla a voce
alta nei camerini! MULTA! Valentina Cortese e
il caro Gianni Santuccio. Si ricorda quando si portò il
vestito di lino da casa perché gli stava meglio di quello di scena?
Il grande Renzo Ricci, Giulia Lazzarini creavano pian
piano i loro personaggi. Piangevano, ridevano, lei tirava fuori dal fondo
della sala buia tutti i sentimenti chiusi nelle loro anime. Poi
toccò a me. Mi insultò, mi violentò con delle parole
così feroci che provai per la prima volta un dolore così
grande che sembrava spaccarmi il cuore, e in quella breccia tra
le mie lacrime lei versò poesia, umanità. Quello che lei
mi stava dando era una ricchezza immensa e ho giurato a me stessa che
mai l'avrei tradita. Non ho fatto fatica a tener fede a quel giuramento.
Ora dopo ventidue anni affronto lo stesso testo, Il giardino, con molta umiltà sarò nel ruolo della grande Valentina Cortese. Ed è in questa occasione che le scrivo perché questa piccola vita cambiata possa avere un senso per i giovani che leggeranno queste righe. Ho usato parole e raccontato fatti che sembrano lontani anni luce dal linguaggio corrente della nostra società. Ho trattato un tema, il teatro, che si vuol far credere secondario rispetto ai bisogni urgenti del nostro vivere civile, mentre forma attraverso i capolavori gli attori e i registi, la nostra vera coscienza civile. Nel caos, nel buio dei nostri anni che ci portano al Duemila, maestri come lei potrebbero insegnare a milioni di giovani come me a credere nella bellezza dell'uomo e a non avere paura. Questa è la cultura che restituisce a ogni essere umano la sua grandezza, l'amore in se stesso e la sua unicità. E crea uomini pensanti e forti.