Da "Eve"
L'inverno è tanto scrupoloso nel suo ordine che su certi muri, dilavati dalla pioggia, i manifesti resistono poco e si accordano subito alla simmetria dei bianchi, dei neri e dei grigi. C'è un manifesto con Monica Guerritore, l'affiches del suo ultimo lavoro teatrale Madame Bovary. C'è solo il suo viso, un ovale dall'orlo netto, pulito e gli occhi che sembrano bere ogni sguardo. Fra qualche giorno devo incontrare Monica Guerritore e mi mette di buon animo il fatto che quel manifesto resista, che quel viso chiaro non sia stato per nulla butterato dalla pioggia. Ho sempre trovato Monica Guerritore molto bella, bella della sensualità naturale di certi fiori bianchi che, come certe donne, sembrano non aver bisogno di altro, il colore, il fiocco, la giarrettiera per il richiamo. Ho ancora in mente la messa in scena di Strehler del Giardino dei ciliegi: tutti gli attori vestiti di bianco in una scenografia aerea di diafani satin. In quelle immagini Monica quindicenne sembrava appena uscita da uno dei versi di Rilke, di quelli in cui fanciulle come gigli siedono sul bordo delle fontane, con la bocca socchiusa piena di perle. Nel manifesto lei non sembra più un giglio, ma un'immensa camelia, sul punto di incendiarsi.
Vado ad incontrare Monica Guerritore nel teatro di una piccola città dì provincia. Nel foyer c'è un cesto di grandi rose rosse che sembrano dover scoppiare come petardi. Sto aspettando, rivedo le domande con imbarazzo. Non ho mai amato Emma Bovary. Se penso a lei mi figuro una puledra impazzita, una madre delle lacrime, un manichino da sarto senza gambe, dentro come un torsolo cavato della polpa. Mi portano per un pertugio nel ventre nudo del teatro. Lei è in un camerino spoglio, senza scorta di rose. È come nel manifesto, con lo sguardo che si beve ogni cosa, anche la pioggia sporca che batte in diagonale. Il problema del suo nuovo personaggio, Emma, è doversi misurare con lo scarto tra quello che lei desidera e quello che le offre il mondo...